di Simone Chiarelli

Spesso chi si avvicina le prime volte al bonsai, sottovaluta l’importanza che riveste il substrato ai fini della salute delle nostre piante. Tra le tecniche di base, si tende a dare più importanza alla concimazione e all’annaffiatura, trascurando le tempistiche nei rinvasi e ritenendo il “terriccio” nel quale far vivere il bonsai come una componente di secondaria importanza.

Questo atteggiamento da parte del novizio bonsaista, viene poi meno col passare del tempo, mano a mano che si frequentano corsi, stage, o ci si documenta su forum e siti vari, e mano a mano che si osservano i comportamenti dei bonsai in base al substrato nel quale sono stati rinvasati. Da questo punto di vista, il momento del rinvaso e la conseguente osservazione del pane radicale, rappresenta due momenti topici per capire quanto il substrato utilizzato in occasione del rinvaso precedente sia adeguato. Considerato il fatto che un bonsai, salvo casi di emergenza, viene sottoposto al rinvaso non più di una volta l’anno (ma per quelli formati la norma è una volta ogni due o tre anni), si capisce come un errore nella scelta del substrato possa essere o scoperto o risolto come minimo solo dopo un anno, in corrispondenza del rinvaso successivo.

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Per comprendere la delicatezza della questione “substrato” basta fare due semplici osservazioni.
Se ci soffermiamo a considerare che l’assimilazione di acqua e componenti nutritivi è effettuata (principalmente) dalle radici, possiamo facilmente capire l’importanza del terriccio, all’interno del quale le radici si sviluppano e vivono durante tutto l’anno.

Se poi aggiungiamo che il bonsai vive in un ambiente estremamente ristretto (e non in terra come per le comuni piante) entro il quale le radici devono muoversi, può essere sufficiente per capire come un parte dei problemi che il bonsai manifesta (punte delle foglie secche, marciume radicale e ristagno d’acqua, radici asfittiche) sia direttamente legata proprio alle condizioni del terriccio utilizzato.

Un’altra questione importante è rappresentata dall’importanza di usare, spesso anche se non sempre, substrati composti, come risultato di miscele di più componenti e non substrati rappresentati da un solo “ingrediente” di base. In altre parole il substrato che ognuno di noi utilizza è la risultante di miscele di due o più substrati di base a formare un composto che riteniamo adeguato in base ad essenza, esposizione, latitudine/altitudine, frequenza di annaffiatura, stadio di formazione del bonsai/prebonsai.

Caratteristiche strutturali

Lo studio della chimica del terreno ci stimola a vedere il substrato dove vivono le radici, come un qualcosa non formato del solo terreno, ma come un sistema composto di tre elementi principali: terra, aria, acqua. La composizione percentuale di questo sistema varia di molto a seconda che si parli di piante in campo o piante in vaso.

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Da “Substrati e la coltivazione delle piante in contenitore”

I substrati tipicamente utilizzati nell’arte bonsai hanno come requisito principe la struttura fisica, che generalmente è formata da grani il cui calibro (granulometria) è pari o al di sopra dei due millimetri: prima del rinvaso si cerca quindi di setacciare il substrato di base (akadama o pomice o altro) eliminando la polvere in esso contenuto ed eliminando quanto inferiore a 1 o 2 mm.

Il risultato dell’operazione col setaccio è generalmente la formazione di due substrati di base diversi. Uno con granulometria medio/grossa (da usare come drenaggio in fondo al vaso), l’altro con granulometria medio/piccola (ma sempre sopra al millimetro o due) da miscelare come composto di base insieme ad altri substrati di base (a loro volta setacciati) per formare il substrato finito da coltivazione.

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L’uso delle diverse granulometrie

Premesso quanto sopra, quali sono le qualità fisiche che deve avere un buon substrato? Principalmente quattro.

  • Un buon drenaggio
  • Un buon passaggio di aria tra i grani
  • Mantenimento della struttura fisica nel tempo
  • Capacità di indurre la formazione di radici capillari

Drenaggio

Una delle caratteristiche cui si deve prestare attenzione è proprio la capacità di drenare e far scorrere, via dal foro di scolo, l’acqua in eccesso ed i residui derivanti dalla concimazione e dalla somministrazione di altre sostanze (acidi umici, integratori). Un buon drenaggio quindi è necessario per evitare ristagni d’acqua ed evitare l’insorgere di malattie fungine letali come il marciume radicale.

Areazione del substrato

La costituzione di un substrato con granulometria adeguata permette anche il passaggio di aria tra i grani: un terriccio areato consente un maggior ricambio gassoso, evita l’asfissia radicale e la disponibilità di una maggior quantità di ossigeno da parte delle radici (quindi maggior crescita).
A questo punto comprendiamo come un buon terreno da bonsai (ipotizziamolo in assenza di concimazioni e integratori) comprenda tre elementi di base (terra, aria, acqua) che combinati assicurano una crescita sana ed equilibrata alla pianta.
La presenza di un’abbondante quantità di aria consente anche un elevato e veloce ricambio di aria/acqua e quindi una maggior crescita da parte della pianta.

Mantenimento della struttura

Un’altra caratteristica da non trascurare è il mantenimento della struttura nel tempo.
Quali sono i motivi che spingono il bonsaista a rinvasare con la cadenza prescelta?
Se si trascura la motivazione “crescita” (la pianta è stata lasciata crescere ed il vaso risulta inadeguato come dimensioni alla pianta cresciuta), le cause che portano al rinvaso sono essenzialmente due

  • Le radici hanno riempito il vaso ed escono dal foro di scolo o addirittura nei casi più gravi il pane ne risulta sollevato dal bordo
  • I grani si sono disgregati e hanno creato un composto unico, compatto e poco areato/drenante.

La terza motivazione, che interessa in questo frangente, è la conseguenza del tempo che passa e dell’alternarsi delle stagioni. Con il passare del tempo infatti la crescita delle radici ed il “movimento” che esse inducono nel substrato, l’apporto di acqua e di concimazioni, il susseguirsi di temperature fredde in inverno e calde in estate, disgregano i grani frantumandoli e facendo decadere il terriccio in termini di drenaggio, ossigenazione, scambio gassoso. Si crea quindi un composto dove gli interstizi tra i grani sono ridotti al minimo e vengono a decadere le qualità del substrato.

Quindi diventa importante utilizzare, soprattutto per bonsai formati e soggetti a rinvasi meno frequenti, substrati che abbiano un ottimo mantenimento della struttura del tempo, dotati di una struttura fisica forte e durevole e meno soggetta a decadimento a causa degli agenti atmosferici e non.
Da questo punto di vista, se paragoniamo l’akadama/kanuma con la pomice, ci rendiamo conto quanto le prime siano dotate di grani la cui disgregabilità è maggiore rispetto a quanto succede per la pomice: e da questo ne consegue una maggior frequenza nei rinvasi per ovviare al decadimento del terreno (e della salute della pianta). Probabilmente il problema disgregabilità, legato come detto anche alle temperature invernali rigide, si presenta in misura minore in un clima come quello giapponese dove le temperature sono generalmente più miti (fatta eccezione per l’isola di Hokkaido).

Formazione dei peli radicali

Un’ultima caratteristica molto importante per un substrato bonsai è quella di induzione alla formazione, nell’apparato radicale, di quanti più peli radicali possibile.
I peli radicali rappresentano la fase terminale della radice, la parte che però riveste un ruolo fondamentale nell’assimilazione di acqua ed elementi nutritivi da parte della pianta. Per una pianta il cui spazio vitale è ridotto all’osso, avere, in percentuale, un’alta percentuale di peli radicali, diviene fondamentale per il corretto approvvigionamento di acqua ed elementi nutritivi.
Questa proprietà è direttamente legata alla granulometria del composto in termini di forma (grani irregolari e non smussati) e dimensione.

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Nella figura sopra il comportamento della radice di fronte ad un grano smussato e ad un grano irregolare.Si noti la suddivisione del pelo radicale nel caso di grano irregolare

Caratteristiche chimiche – PH

Il pH è una misura della reazione chimica di una soluzione. La reazione può essere neutra, acida o basica.

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Terreni e PH

L’importanza del PH deriva dalle correlazioni che esso ha con la fertilità del terreno stesso e con la disponibilità di alcuni elementi nutritivi. Alcuni elementi nutritivi, macro e microelementi utilizzati dai vegetali per la loro crescita, assumono infatti forme che risultano assimilabili o non assimilabili al variare del PH del terreno.

Ad esempio se il PH del terreno è solitamente neutro (intorno a pH 7), alcuni minerali come il calcio e il magnesio, sono maggiormente solubili in presenza di PH basico (pH >7), altri come ferro, il manganese ed il rame, sono maggiormente solubili in soluzioni acide rendendosi quindi indisponibili per le piante in presenza di PH elevati (basici).

In termini pratici ne deriva che la maggior parte delle piante vegeta bene in substrati neutri o vicini al neutro: ci sono però alcune eccezioni rilevanti come azalee e rododendri, eriche che costringono il bonsaista all’utilizzo di substrati acidi di provenienza giapponese quali la kanuma, o altre essenze come l’acero o le sughere che secondo recenti evidenze empiriche prediligerebbero terricci leggermente acidi.
Le piante che prediligono un substrato acido sono dette “acidofile”, quelle che lo prediligono basico “basofile”, quelle infine che vivono bene in un substrato neutro “neutrofile”.

Tra gli effetti concreti della variazione eccessiva del PH di un terreno si notano:

  • I classici casi di clorosi ferrica nel caso di acidofile il cui substrato acido vede innalzarsi il PH (e quindi diventare alcalino).
  • Al contrario, una forte riduzione di pH durante il corso della coltivazione porta ad un forte assorbimento di microelementi.

Potere tampone

Direttamente correlato al concetto di acidità/basicità nel terreno è il potere tampone.
In chimica una soluzione è detta tampone quando ha la capacità intrinseca di mantenere stabile il pH anche a seguito di rilevanti aggiunte di un acido o di una base.

Il potere tampone in chimica del suolo è definito quindi come la capacità del substrato di mantenere stabile il proprio PH contrastando variazioni verso l’acidità o basicità dello stesso.
La stabilità del PH in un substrato è quindi un requisito importante affinchè il substrato stesso mantenga nel lungo periodo un adeguato grado di fertilità e assimilabilità degli elementi in esso disciolti, senza che questi si rendano non più disponibili e assimilabili dal bonsai dopo un certo periodo di tempo a causa della variazione del PH.

A parità di condizioni, il potere tampone dei terreni alcalini verso l’acidificazione è più alto di quanto sia quello dei terreni acidi verso l’alcalinizzazione. Questo fenomeno rende molto più difficile la correzione dei terreni alcalini rispetto a quella dei terreni acidi.

Il maggior potere tamponante dei terreni alcalini è correlato alla CSC (si veda sotto): la capacità di scambio cationico aumenta infatti con l’aumentare del PH e quindi risulta maggiore nei terreni il cui pH è basico.
Scendendo nello specifico i terreni a base di torba bionda, hanno un minor potere tampone rispetto alle miscele di torba con argilla (notare che l’akadama è un’argilla), humus di corteccia e terricci da compostaggio. Da prove di laboratorio si è notato che l’humus di corteccia, utilizzato come sostanza tampone, riveste una grande importanza nei substrati per coltivazione: sarebbe infatti in grado di tamponare sia l’effetto dell’acqua per irrigazione con bassa durezza da carbonati, sia quello dell’acqua con alta durezza.

CSC

La CSC, abbreviazione per capacità di scambio cationico, è la quantità di cationi che sono potenzialmente scambiabili dal substrato, il quale li mette a disposizione delle piante e dei microrganismi per la loro assimilazione. In sostanza esprime la capacità del terreno di essere fertile, soprattutto nel medio/lungo periodo, rilasciando gradualmente le sostanze nutritive assimilabili da parte del vegetale.

La CSC è espressa generalmente in milliequivalenti per 100 grammi (meq/100g).
Si colloca generalmente tra i 5 ed i 50 meq/100g. Nei suoli torbosi può addirittura raggiungere valori intorno a 200.
Come accennato in precedenza, la capacità di scambio cationico aumenta con il pH, quindi i terreni alcalini hanno una CSC più alta dei terreni acidi.

Interessante è notare come la CSC sia correlata (in maniera direttamente proporzionale) al contenuto di argilla e soprattutto di sostanza organica. Questa caratteristica ha interessanti conseguenze per il bonsaista se si pensa che l’akadama non è altro che un’argilla.

Interrelazioni tra substrati e concimazioni

Più è alta la CSC, minore sarà il dilavamento della sostanza assimilabile e al contrario sarà resa disponibile gradualmente alle radici.

Il principale problema deriva dal fatto che i substrati da bonsai, generalmente composti da alte percentuali di pomice e akadama o altri inerti, hanno una medio/bassa CSC (rispetto a composti non inerti), per cui la loro capacità di trattenere gli elementi della fertilizzazione (e cederli gradualmente) è generalmente modesta.
Ne deriva che in terreni ultra drenanti e inerti, dove quindi la componente organica viene a mancare, la CSC è bassa, ed il dilavamento dei componenti nutritivi è veloce ed elevato.
In questi terreni è consigliabile quindi effettuare concimazioni organiche solide a lenta cessione (Biogold, Hanagokoro, Aburukasu) in modo da aumentare la parte organica nel substrato e di conseguenza elevare la capacità in termini di CSC. Elevando la CSC si ha quindi una maggiore fertilità ed una cessione della sostanza assimilabile graduale e prolungata nel tempo.

Oltre al miglioramento della CSC, un ulteriore effetto dell’uso di concimazioni organiche in substrati inerti, è anche la loro maggior compatibilità con la presenza di microrganismi batterici.
Questi infatti rivestono un ruolo importante nell’assorbimento dei nutrimenti minerali. Basti pensare come la maggior parte delle piante assorba infatti solo l’azoto in forma nitrica: nel caso di somministrazione di azoto in forma ureica o ammoniacale, alcune specie batteriche saranno preposte alla trasformazione in azoto nitrico maggiormente assimilabile.

In terreni dotati di maggiore sostanza organica, dove la CSC è maggiore, si possono invece utilizzare con maggior tranquillità concimazioni liquide di tipo chimico che saranno dilavate in misura minore.